La vita di Sant’Erlembaldo

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Uno dei luoghi di attivazione del Progetto Rivivi a Gorla è il cortile di via Sant’Erlembaldo.
La dedicazione di questa via è curiosa, poiché racconta la storia del nostro Comune attraverso la storiografia che coinvolge un Santo milanese forse poco conosciuto.

Siamo nel 1063, nella Milano medievale, quando Erlembaldo Cotta torna dal suo pellegrinaggio in Terra Santa e accetta di guidare il movimento dei Patarini.

Il termine “patarini”, secondo lo storico Ludovico Antonio Muratori, si deve ricercare nel milanese patée, glistraccioni, mentre per Arnolfo di Milano, cronista, l’etimo è da pàthos, nel senso di “perturbazione”: questi Patarini sarebbero stati “perturbatori” dell’ordine.

Ma di quale ordine? Di quello ecclesiastico, ovviamente, quindi “perturbatori” della struttura stessa della Chiesa dell’XI secolo.
La Pataria nasce come movimento critico nei confronti della corruzione morale della Chiesa, specialmente di quella perpetuata dagli Arcivescovi di Milano dell’epoca attraverso la compravendita di cariche ecclesiastiche, e si evolve al finire dell’XI secolo in movimento ereticale più generalmente anti-ecclesiastico.
La Pataria era quindi vicina al cristianesimo delle origini e sostenitrice della Chiesa dei Poveri, quella dottrina articolata tra movimenti di laici, ordini monastici e perfino movimenti ereticali che sosteneva la necessità di una Chiesa vicina agli ultimi.

Ma il nostro Erlembaldo fu a capo del movimento quando ancora era supportato perfino dal Pontefice Alessandro II.
Fu l’investitura a guida del movimento che spinse Erlembaldo ad organizzare un vero e proprio movimento armato, ai fini di privare di autonomia l’arcidiocesi ambrosiana.
A Milano, nel 1063, l’Arcivescovo era Guido Bianchi da Velate, un uomo potente noto per la sua opposizione al divieto emesso dal pontefice di concedere i sacramenti a uomini sposati, pratica molto diffusa all’epoca, il nicolaismo. Un’opposizione, sia chiaro, non di natura morale o religiosa ma bensì economica: molti nobili, già feudatari e proprietari di terre, acquisivano ancora più potere con una nomina religiosa, acquisendo nuovi terreni ed ancor più potere. Molti di questi vassalli-diaconi dell’Arcivescovo erano accusati inoltre di simonia, ovvero la già nominata vendita di carica religiose.
Ai tempi, un Vescovo aveva un potere immenso, molto simile a quello di un grande feudatario. Lo stesso Erlembaldo era figlio cadetto (ovvero secondogenito) dei Cotta, vassalli dell’arcidiocesi.
Opporsi all’Arcivescovo di Milano era dunque decisamente pericoloso.

Fu con l’uccisione, poi dichiarata martirio con la santificazione, della guida spirituale del movimento, Sant’Arialdo, per mano di altri vassalli dell’Arcivescovo Guido, che il conflitto si fece più teso. Un escalation che culminò con la scomunica di Guido e l’ascesa di Erlembaldo.

Senza un arcivescovo residente, Erlembaldo cominciò ad amministrare da sé i sacramenti, rifiutando quelli dei prelati ritenuti colpevoli di simonia e nicolaismo.
Un atteggiamento possibile grazie al sostegno armato dei Patarini, che però ormai erano guardati con disprezzo dai cittadini milanesi.
Erlembaldo e la Pataria erano considerati “servi del Papa venuti a minacciare l’indipendenza della Chiesa Ambrosiana” e di riflesso un pericolo per l’indipendenza economica che cominciava a svilupparsi nelle prime forme comunali, poi istituite nel 1117 con l’insediamento dei primi consoli.

È il cronista Arnolfo, oppositore politico di Erlembaldo, a raccontarci la fine di questa storia: il Santo venne ucciso dagli oppositori in armi, “con bastoni e pietre”, in un vero e proprio linciaggio organizzato durante uno degli incendi del 1072. L’incendio viene raccontato dal cronista addirittura come una “punizione divina” per l’arroganza di Erlembaldo.

La salma di Erlembaldo venne poi trasferita a S. Dionigi nel 1095, in un processo di canonizzazione estremamente rapido: al pontefice Urbano II serviva la figura di un miles christi, un soldato di Dio, che con la forza della spada difendesse la Chiesa, per legittimare le Crociate.

La figura di Erlembaldo e la sua storia sottolineano i conflitti tra i primi tentativi di “farsi Comune” della città di Milano e la Chiesa Cattolica.
Il movimento dei Patarini fu all’inizio sfruttato dalla Chiesa per imporre la sua parola, in aperta opposizione alle prime forme di indipendenza comunale ed alle connessioni economiche di alleanza con l’Impero.
Ma poi una spirale discendente vide la trasformazione della Pataria da movimento sostenuto dalla Chiesa a movimento ereticale perseguito dalla Chiesa stessa. La Chiesa di Urbano II sentenziò che i sacramenti impartiti da preti simoniaci erano ugualmente validi. Poi Papa Callisto II reintegrò i simoniaci, gettando la Pataria nel caos.
Alcuni Patarini rientrarono nelle fila della Chiesa, altri intrapresero un pellegrinaggio durante la Prima Crociata, e infine alcuni si unirono all’eresia Catara, apertamente perseguitata.

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